Plusvalenza Immobiliare: come si calcola e quando non si paga

Plusvalenza Immobiliare: come si calcola e quando non si paga

Una delle tasse più importanti, del settore immobiliare, è la tassazione della plusvalenza immobiliare, ovvero la somma che si ottiene rivendendo un immobile ad un prezzo più alto rispetto al prezzo d’acquisto iniziale.

Vi è quindi una tassazione da parte del fisco su tale “guadagno” monetario, anche se sono diversi i casi in cui non è necessario pagare la plusvalenza, soprattutto in base alla natura dello stesso e come viene utilizzato dal proprietario.

Nel processo di vendita di un immobile ci sono anche altre spese

In questo articolo quindi, scopriremo nel dettaglio cosa significa generare plusvalenza, quali sono i regimi di tassazione ad essa legati e quando è necessario pagarla.

Cos’è la plusvalenza immobiliare: la definizione

La plusvalenza immobiliare è il guadagno che riceve il venditore di un immobile, vendendo lo stesso ad un prezzo più alto rispetto a quello pagato al momento dell’acquisto iniziale.

Si definisce plusvalenza proprio il valore di differenza tra un prezzo e l’altro.

La plusvalenza però si genera, in senso di tasse, nel momento in cui l’immobile viene venduto entro 5 anni dall’acquisto primario. Questo significa che, vendendo un immobile anche due anni dopo averlo acquistato, ad un prezzo più alto rispetto a quello di acquisto, si genererà una plusvalenza sulla quale bisognerà pagarci la tassa.

Facendo un esempio pratico per comprendere il meccanismo:

  • Un privato compra una casa a 100.000€;
  • La rivende, 3 anni dopo, a 145.000€;
  • La plusvalenza risulta essere di 45.000€.

Tali 45.000€ di plusvalenza saranno perciò un guadagno lordo per il proprietario, vista la tassazione con aliquota al 26% (o a scaglioni IRPEF).

Bisogna comunque dire che, tale tipologia di tassazione, non viene imposta su immobili ereditati, come neanche sugli immobili che per la maggior parte del tempo sono stati adibiti a funzione di prima casa.

La plusvalenza viene perciò tassata nel momento in cui, la cessione, rappresenta un’opportunità di guadagno per il proprietario che decide di cedere l’immobile.

Quando è necessario pagare la tassa

Come anticipato nel paragrafo precedente quindi, la corresponsione della tassa non è sempre dovuta, e dipende strettamente dalla tipologia dell’immobile e dalla sua situazione storica, oltre che economica.

In generale, la tassa sulla plusvalenza si paga sempre quando l’immobile viene ceduto entro 5 anni dall’acquisto, ad un prezzo che sia oltre quello di acquisto. La vendita deve quindi rientrare nello spettro delle vendite speculative e per immobili che non siano:

  • Ricevuti in eredità;
  • Adibiti a prima casa;
  • A scopo commerciale;
  • Ceduti gratuitamente;
  • Venduti dopo 5 anni;

Fatte queste eccezioni, la tassa sulla plusvalenza si paga sempre.

L’unico caso in cui la tassa deve essere corrisposta anche sulla prima casa, viene posto in essere quando l’unità immobiliare, per la maggior parte del tempo di possessione, non viene adibita ad abitazione principale.

Ma cosa succede quando si vende una seconda casa?

Plusvalenza seconda casa: come funziona?

Sulla prima casa quindi, la plusvalenza non viene mai tassata, esattamente non si paga se l’immobile viene effettivamente vissuto per più del 50% + 1 dei giorni trascorso tra acquisto e rivendita.

Diverso è il discorso in merito a plusvalenza seconda casa, dove l’importo viene sempre tassato con un’aliquota del 26% (sulla differenza tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto).

In questo modo quindi, nel momento in cui viene generata una plusvalenza, questa si somma automaticamente a tutte le tasse da versare per la vendita della seconda casa, in maniera rapida e sempre efficace. Il regime di tassazione al 26% deve però essere espressamente richiesto al Notaio in sede; l’assenza della richiesta diretta comporterà il regime di tassazione a scaglioni Irpef, che per molti potrebbe costituire uno svantaggio economico non indifferente.

Regimi di tassazione sulla plusvalenza: quale scegliere?

Arrivati a questo punto, pronti per vendere l’immobile, quello che manca da stabilire è il regime di tassazione al quale si preferisce sottoporsi per il pagamento della plusvalenza. Generalmente, le opzioni offerte dalla legge sono due:

  • Regime di tassazione Irpef: in questo primo caso, la plusvalenza viene considerata come un reddito, andando a sommarsi a gli altri redditi IRPEF accumulati. In base al livello di aliquota previsto (partendo da un minimo del 23%), la tassazione viene determinata su scaglioni che variano di situazione in situazione.

  • Imposta sostitutiva: tale regime di tassazione è una vera e propria imposta sostitutiva con aliquota al 26%, determinata al momento dell’atto notarile.

A conti fatti, per un privato che percepisce già dei redditi IRPEF, la scelta migliore ricade sicuramente sul regime a imposta sostitutiva, beneficiando così dell’aliquota fissa.

Come si calcola la plusvalenza immobiliare

Il calcolo del valore della tassa da pagare è fatto con il 26% (o a scaglioni irpef) sulla plusvalenza immobiliare. La base imponibile è la differenza tra la somma ricevuta al momento della vendita e quella pagata al momento dell’acquisto principale.

Alla somma pagata all'acquisto possono essere aggiunte anche le spese extra, come:

  • Mutuo;
  • Interessi;
  • Spese del notaio;
  • Imposte varie (catastali, di registro, ipotecarie);
  • Polizze assicurative.

Oltre a queste spese si possono anche conteggiare le spese di ristrutturazione effettuate nell'immobile.

Aggiungendo tutte queste spese al prezzo di acquisto si va così ad abbassare la plusvalenza immobiliare e di conseguenza anche l'imposta da pagare sarà minore.

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